In questo libro si propone un modello psicopatologico che cerca di spiegare le possibili vie di sviluppo dei vari disturbi di ansia sociale e il sistema di funzionamento che li sostiene e li perpetua. Tale modello può essere considerato come integrativo in quanto assimila i principali modelli della CBT con la teoria cognitivo-evoluzionista, la teoria metacognitiva interpersonale, le neuroscienze e i recenti studi sulle emozioni.
L’obiettivo proposto è quello di provare a specificare nuovi legami tra eziologia e fattori di mantenimento, che potrebbero contribuire a migliorare sia il trattamento che la prevenzione nell’ambito dei disturbi in questione. A tale scopo, pertanto, si ritiene utile esaminare ed approfondire altri meccanismi psicopatologici coinvolti nel funzionamento e nel mantenimento dei disturbi d’ansia sociale, in quanto osservare la complessità dei casi clinici lascia la possibilità di utilizzare la CBT, ma integrandola con formulazioni terapeutiche successive. In conclusione, il tentativo, in questo libro, è quello di integrare modelli e ricerche provenienti da diversi ambiti per costruire un modello psicopatologico che spieghi lo sviluppo e il mantenimento dei vari disturbi di ansia sociale, e sulla base del quale strutturare un intervento terapeutico più efficace.
I meccanismi psicopatologici messi in evidenza e che devono essere, a nostro avviso, ulteriore oggetto di intervento terapeutico sono:
Schema relazionale sé-altro.
- Nella storia di vita delle persone socialmente ansiose, si rileva in genere la presenza di figure genitoriali caratterizzate da atteggiamenti basati sulla critica, sul rifiuto, sull’umiliazione, sul distacco emotivo. Le esperienze ripetute con queste figure genitoriali, sono codificate come memorie autobiografiche e contribuiscono alla strutturazione di particolari schemi relazionali (rappresentazione di sé-con-l’altro). Nello specifico, alcune modalità di interazione genitore-bambino conducono alla costruzione di un modello di sé come vulnerabile, indegno di stima e affetto, di scarso valore personale, e un modello dell’altro percepito come ostile e critico, oltre che alla strutturazione di modelli previsionali caratterizzati da forti aspettative di giudizio critico, rifiuto, ed esclusione da parte degli altri (Grimaldi, 2008). Le aspettative saranno anche quelle di non poter contare sull’aiuto e il conforto dell’altro quando si troveranno in situazioni di difficoltà o di disagio.
Iperattivazione del smi agonistico
- . La strutturazione di uno schema relazionale caratterizzato da una rappresentazione di sé come inferiore, indesiderabile, basso nello status sociale e una rappresentazione degli altri come giudicanti, ostili e rifiutanti, conduce l’ansioso sociale ad essere estremamente focalizzato sulle dinamiche competitive, che dal suo punto di vista, caratterizzano i rapporti sociali. L’individuo rimane intrappolato in una visione delle relazioni in un’ottica di rango, laddove la sottomissione rappresenta la soluzione che permette di evitare di subire danni come la critica, il rifiuto e l’esclusione sociale e quindi di rimanere all’interno del gruppo e di accedere a un minimo di risorse sociali (Gilbert, 1989, 1992; Gilbert & Grimaldi, 2011; Gilbert & Trower, 2001; Trower & Gilbert, 1989). Un aspetto che caratterizza le persone con ansia sociale, pertanto, è rappresentato da una ipertrofica attivazione del sistema agonistico o di rango. Gli stati mentali caratterizzati dal tema di competizione/confronto, elemento centrale e caratteristico dell’attivazione del sistema di competizione/rango, inducono una prospettiva egocentrica (Semerari, Moroni, & Procacci, 2016) e, di conseguenza, una compromissione temporanea della capacità di decentramento.
Disfunzioni metacognitive.
- Possiamo considerare i disturbi d’ansia sociale, sia la fobia sociale che il disturbo evitante di personalità, come condizioni cliniche caratterizzate da alcune disfunzioni metacognitive. Nello specifico, in entrambi si riscontrano disfunzioni nelle abilità di decentramento/differenziazione e mastery, mentre nel disturbo evitante di personalità è compromessa, principalmente, anche la funzione di monitoraggio, ossia la capacità di riconoscere le emozioni e pensieri che costituiscono uno stato mentale, le motivazioni e gli scopi sottesi al comportamento e cogliere relazioni immediate tra pensieri e emozioni (Pellecchia et al., 2017; Popolo, Procacci, Nicoló, & Carcione, 2011; Procacci, Popolo, & Dimaggio, 2011; Procacci, Popolo, Petrilli, Vinci, & Semerari, 2002). Nelle situazioni sociali temute le persone con ansia sociale sono portate a fare delle inferenze sui pensieri altrui e a leggere le loro intenzioni in termini negativi, incapaci di cogliere le risposte e i segnali rimandati dagli interlocutori. La persona assume una prospettiva egocentrica, nel senso che attribuisce all’altro contenuti mentali e intenzioni che in realtà sono propri. Vi è l’incapacità di ipotizzare che nella mente dell’altro ci possano essere contenuti mentali differenti e diversi dai propri. Invece vi è la certezza che nella mente dell’altro siano presenti le proprie rappresentazioni e valutazioni negative, ritenute come oggettivamente vere, mostrandosi incapaci, pertanto, di distinguere tra fantasia e realtà e di considerare soggettive e fallibili le proprie opinioni.
Disregolazione emozionale.
- Il funzionamento metacognitivo può rapidamente collassare di fronte a un’eccesiva attivazione emotiva, come può essere il caso di una esperienza di forte ansia. Le persone con esperienze di attaccamento traumatiche possono diventare più vulnerabili e sensibili a tale attivazione e perdere più facilmente le capacità di mentalizzazione (Allen, 2003). I modelli cognitivi dell’ansia sociale postulano che l’iper-reattività e la disregolazione emozionale rappresentano elementi fondamentali che caratterizzano tali disturbi (Hermann, Ofer, & Flor, 2004; Hofmann, 2004; Li et al., 2016).
Nell’ansia sociale si riscontra una scarsa efficacia nell’utilizzo di adeguate e funzionali strategie di regolazione emotiva come, ad esempio, il reappraisal cognitivo, ovvero la capacità di modificare il significato o l’importanza della situazione con l’obiettivo di alterare la risposta emozionale (Goldin, Jazaieri, Hahn, Ziv, & Gross, 2013). Ciò può essere dovuto a un deficit nella abilità di regolazione emozionale (Werner, Goldin, Ball, Heimberg, & Gross, 2011) e in altri casi può dipendere anche dalla ferma convinzione di non essere capace di gestire le proprie emozioni (De Castella et al., 2014; Werner et al., 2011). Per quanto attiene alle strategie di modulazione della risposta, le persone con ansia sociale mostrano una tendenza cronica nell’utilizzo della soppressione emotiva. Infine, nelle forme di ansia sociale abbastanza severe, come può essere il disturbo evitante di personalità, un aspetto peculiare è rappresentato dalla presenza di alessitimia.
Il modello qui proposto prevede che, quando entra in contatto con una situazione sociale temuta, la persona con ansia sociale valuta tale contesto come minaccioso in quanto scatta, automaticamente e immediatamente, l’aspettativa di giudizio negativo o di rifiuto da parte degli altri. Tale valutazione comporta, da un lato l’attivazione di intense esperienze di ansia, e dall’altro l’attivazione del sistema motivazionale di rango adatto a gestire tale tipo di ruolo sociale. La difficoltà a regolare l’elevato stato di arousal emotivo e l’attivazione del sistema di rango, possono implicare un collasso temporaneo del funzionamento metacognitivo, in special modo della funzione di decentramento. Ciò comporta un funzionamento personale caratterizzato da auto-focalizzazione, da egocentrismo cognitivo e autoreferenzialità. La persona, per gestire tale situazione, può ricorrere istintivamente all’evitamento e, se tale soluzione non può essere attuata, mette in atto un’altra strategia per la gestione del confronto sociale, ossia quella di assumere una posizione di sottomissione o subordinazione all’altro. Tale strategia ha lo scopo di evitare di subire danni, come il rifiuto e l’esclusione sociale, e di preservare l’inclusione sociale e l’accesso anche minimo alle risorse sociali.