Il bisogno di migliorarsi, riproponendosi obiettivi più elevati di quelli precedenti, riflette un bisogno sano ed adattativo di crescita ed evoluzione personale ma, se accompagnato ad altri fattori, può finire col costituire una gabbia soffocante da cui sembra impossibile venir fuori e che può accompagnarsi ad importanti stati di sofferenza. Stiamo parlando di “Perfezionismo”, ossia di un’attitudine rigida e pervasiva ad esigere da se stessi e/o dagli altri prestazioni ineccepibili e lodevoli, a cui si accompagna di solito un atteggiamento di critica aspra verso se stessi e verso gli altri (Frost R.O. e al., 1990; Bastiani A. e al., 1995; Hamacheck 1978).
Il perfezionismo può trovare espressione in vari modi. La persona può avere per esempio degli standard personali troppo elevati, oppure idee rigide rispetto a cosa fare, come farlo e che punizione attuare in caso di fallimento. Il perfezionista patologico fa fatica a giudicare le proprie prestazioni come ben fatte, focalizzandosi invece sull’aspetto che sarebbe potuto riuscire meglio (Sassaroli S. e al., 2007).
Un altro aspetto nucleare del perfezionismo patologico è l’inammissibilità dell’errore: commettere degli errori equivale a veder minato il proprio valore personale, con conseguenti sensazioni di fallimento, a cui si accompagna una forte paura di perdere la stima degli altri e quindi di essere rifiutato. La necessità di evitare gli errori impone alla persona un’attenzione puntigliosa ai minimi dettagli, richiedendo spesso tempi molto lunghi rispetto al compito previsto. La persona può trovare difficile portare a termine il lavoro che sta svolgendo, oppure può procrastinare all’infinito proprio per la paura di fallire. Appare evidente che il problema non risiede nella meticolosità con cui vengono affrontate le cose, oppure nel fatto di avere delle aspettative elevate rispetto a se stessi, bensì nella rigidità con cui il perfezionista affronta le cose, nel non consentire a se stesso nessun tipo di flessibilità rispetto alle regole stabilite.
Il perfezionismo viene riconosciuto come una modalità di coping (disfunzionale), ossia una strategia cui la persona ricorre, il più delle volte in maniera inconsapevole, per fronteggiare o tenersi lontana dalla sofferenza, e che è possibile trovare in diversi tipi di personalità e condizioni patologiche (Dimaggio et. Al, 2015). Sembra che ad attivare il perfezionismo come strategia di coping entrino in gioco diversi tipi di bisogni presenti nella persona, unitamente a come si aspetta che gli altri reagiscano ad essi. Per esempio, la persona può essere mossa da un desiderio di apprezzamento, ossia desidera ricevere stima dall’altro, ma allo stesso tempo si aspetta che l’altro sia critico e giudicante. Così, entra in contatto con l’idea che l’altro possa avere ragione a criticarlo e può andare incontro ad un’emozione di tristezza legata al fallimento oppure di vergogna all’idea di aver fatto una brutta figura. Ed è a questo punto che entra in gioco il perfezionismo: per fronteggiare la sofferenza legata al timore di quella che potrà essere la risposta dell’altro, la persona tenta di alzare il livello precedente della sua performance, cerca di evitare in tutti i modi l’errore, oppure si impantana nella considerazione di tutto quello che potrebbe fare per evitare il ripetersi dell’errore, dell’imperfezione, e quindi il giudizio temuto.
Tuttavia, l’aspetto problematico è che questa strategia di coping comporta una rincorsa verso l’alto, oppure l’evitare a tutti i costi l’imperfezione, obiettivi che non si esauriscono mai e che non incontrano mai la risposta sperata di accettazione perché il problema centrale è un’immagine di sé caratterizzata da tematiche di inamabilità e scarso valore. Pertanto, la persona farà fatica a sentirsi veramente apprezzata, accettata e stimata o, comunque, non si sentirà così per molto tempo perché in fondo è alla ricerca di un’approvazione che essa stessa da sola non riesce a darsi.
Un altro tipo di desiderio che può attivare il perfezionismo è il bisogno di cure: per esempio, la persona desidera essere amata, ma si aspetta che l’altro la rifiuterà per il suo scarso valore. E così attiva lo stato perfezionista, con l’aspettativa che il fare le cose perfettamente potrà assicurarle la stima o l’amore dell’altro.
I costi del perfezionismo
La paura di fallire domina la scena, implicando quindi uno stato di elevata tensione. La persona si sente spinta a raggiungere l’eccellenza, ma lo stato emotivo che accompagna questa spinta è contraddistinto da tensione, ansia ed insostenibile insicurezza. Risulta, così, davvero faticoso svolgere qualsiasi azione con il timore del fallimento alle calcagna, vivendo ciascun errore come la prova della propria incapacità personale, del proprio scarso valore o della propria inamabilità, con inevitabile perdita di stima da parte degli altri.
Il timore di commettere errori è tale da indurre la persona ad adottare strategie di evitamento rispetto alle situazioni in cui ha paura di risultare insufficiente, inadeguata e non all’altezza, preferendo eludere il tanto temuto fallimento piuttosto che tentare. La procrastinazione diventa una via di fuga, ossia un modo per non mettere in discussione il proprio valore personale, il quale è fortemente dipendente dai risultati che si riesce ad ottenere (Shafran e al., 2002).
La “salutare ricerca di eccellere” (Burns, 1980) è promotrice di un funzionamento psicologico sano perché fa sì che la persona misuri le proprie capacità con obiettivi sempre diversi, senza che la propria autostima subisca gravi oscillazioni. Per il perfezionista patologico l’insuccesso corrisponde al fallimento e all’autosvalutazione, rinforzando gli aspetti di autocritica e il suo vissuto di inadeguatezza personale (Egan S.J., Shafran R. e al., 2014), che sfociano il più delle volte in stati ansioso-depressivi.
Le emozioni tipiche, che anticipano il mancato raggiungimento dello standard perfezionistico, sono colpa, vergogna e ansia. L’efficacia personale è veramente bassa, e da questo stato è molto probabile che la persona transiti in una sorta di paralisi decisionale e di impotenza depressiva (Dimaggio et al, 2013).
Appare evidente che per coloro che presentano comportamenti e vissuti emotivi come quelli descritti, la vita è difficile, spesso troppo pesante, dolorosa, soffocante e paralizzante. Il perfezionismo parte da uno stato problematico nucleare, ma non lo risolve, anzi, lo potenzia generando conseguenze serie e invasive. Si attivano circoli viziosi dai quali è veramente molto complicato venirne fuori da soli, senza che si ricostruisca il funzionamento alla base di tale strategia di coping disadattativa e senza che si mettano in evidenza i fattori che alimentano e mantengono il perfezionismo.
Riferimenti Bibliografici
- Bastiani, A. M., Rao, R., Weltzin, T., & Kaye, W. H. (1995) Perfectionism in anorexia nervosa. International Journal of Eating Disorders, 17, 147-152.
- Burns D.D. (1980). The perfectionist’s script for self-defeat. Psychology Today, 34-51.
- Dimaggio, G., Montano, A., Popolo, R., Salvatore, G. (2013). Terapia metacognitiva interpersonale. Raffello Cortina, Milano.
- Dimaggio, Giancarlo; Lysaker, Paul H.; Calarco, Teresa; Pedone, Roberto; Marsigli, Nicola; Riccardi, Ilaria; Sabatelli, Beatrice; Carcione, Antonino; Paviglianiti, Alessandra (2015). Perfectionism and Personality Disorders as Predictors of Symptoms and Interpersonal Problems. American Journal of Psychotherapy, Volume 69, Number 3, 2015, pp. 317-330(14).
- Egan, S.J., Wade T.D., Shafran R. & Antony M.M. (2014). Cognitive Behavioral Treatment of Perfectionism. Guilford Press
- Frost, R. O., Marten, P., Lahart, C. e Rosenblate, R. (1990). The dimension of perfectionism. Cognitive Therapy and Research, 14, 449-468.
- Hamacheck, D. E. (1978). Psychodynamics of normal and neurotic perfectionism, Psychology, 15, 27-33.
- Sassaroli S., Bertelli S., Boccalari L., Sangiorgi E., Giovini M., Lamela C., Rebecchi D., Scarone S., Vinai P., Ruggiero G. M. (2007). “Contenuti metacognitivi dei disturbi alimentari e interazione con il perfezionismo, la bassa autostima e il rimuginio”. Cognitivismo clinico, 4, 1, p. 34-36.
- Shafran R., Cooper Z. & Fairburn C.G. (2002). Clinical perfectionism: a cognitive-behavioural analysis. Behaviour Research and Therapy, 40, 773-791.